“…Ma dove va?
Perché scappa?
Mr. Dickens, Mr. Dickens, aspetti, aspetti, la prego!”
Mr. Dickens correva come un matto verso la sua navetta con una mano rivolta al cielo in segno di indignazione e di disapprovazione facendo finta di non sentire, in un silenzio quasi tombale.
Sembrava scandalizzato… ma per che cosa?
Ho incominciato allora a gridare mentre saliva i gradini:
“Mr. Dickens, la prego, mi dica prima di andarsene, ha ritrovato la Bologna dotta di un tempo?
Che cosa dice lassù Mozart?
Ci ritornerebbe a studiare il contrappunto?
La prego, mi faccia almeno un cenno.
Lo devo scrivere in un verbale per il comune!”
Lui si è fermato, è rimasto immobile per dieci minuti, poi si è girato lentamente verso di me e per la prima volta dopo un mese di quasi convivenza mi ha guardato negli occhi e mi ha fatto un cenno velocissimo con una mano come a dire alla “Totò”:
“Ma mi faccia il piacere…!”
Devo dire che sono rimasta un po’ basita dal momento che dai suoi modi e dal suo comportamento era sempre trapelata una classe e uno charme fuori dal comune.
Poi è salito sulla sua navetta, si è chiuso dentro e ha spiccato il volo come un fulmine.
In un certo senso, ho sentito un gran sollievo, non ne potevo più.
Charles Dickens è l’inviato speciale della Luna che come è ben noto è la dimora degli illuminati, dei saggi e degli eruditi; è stato scelto lui perché a Bologna c’era già stato nel 1844 all’epoca del suo bagliore culturale, la conosceva bene e ne era rimasto ben impressionato.
Al suo ingresso sulla Luna il suo commento su Bologna fu:
“…non so che di grave e di dotto, ed è immersa in una penombra così piacevole che basterebbero queste due cose a farcela ricordare fra un gran numero di città…”
intendendo per “grave”. . . “autorevole” “colta” quando vi fece visita con l’occhio di un osservatore severo, non certo di un turista distratto.
La Luna voleva sapere perché i suoi raggi inviati sulla città ritornavano indietro a forma di code a tratti, a penzoloni e a lumaconi incandescenti.
Fin dal primo giorno ho accompagnato Mr. Dickens per un mese esatto, tutti i giorni dappertutto:
la Certosa, San Luca, piazza Maggiore, tutte le chiese, i musei, i negozi , i ristoranti, i bar… ma lui ha voluto percorrere a piedi tutti i 38 km di portici, tutti, proprio tutti, tutte le strade e le viuzze con un occhio girato sempre verso l’alto.
Era incredibile come un uomo della sua portata mettesse a posto tutti i cassonetti della raccolta differenziata mettendo ogni cosa al posto giusto.
Devo dire che ho sentito anche un po’ di vergogna:
le bucce di banana, di mela, di patate, di arancia, le uova marce al posto della carta, quintali di libri e spartiti scompaginati: Svevo, Pirandello, Dante, Manzoni, Verdi, Rossini, Puccini, tonnellate di dizionari di inglese nel cassonetto dell’umido e altro, di molto, molto peggio.
E’ riuscito a tirare fuori da quella sorta di carta pesta fradicia quintali di libri e li poneva all’ingresso delle case e dei negozi.
Un dizionario di inglese per ogni famiglia .
Ho provato a rivolgergli la parola in tutti i modi e in tutte le lingue, ma che lingua si parla sulla luna?
Con l’aiuto di Google ho provato persino in latino, arabo, greco, cinese, sanscrito e giapponese, ma lui non mi ha mai risposto, la sua testa era sempre immobile su quel corpo potente, solido.
Sembrava che le pupille gli girassero tutte attorno al corpo tanto erano veloci e vivaci.
Non gli sfuggiva nulla.
Vedeva tutto e capiva tutto ma non parlava, si toccava sempre la barba e i riccioli dei suoi capelli lunghi incolti; ogni tanto faceva un profondo inspiro guardandomi di sottecchi sotto il cappello e tratteneva tutto dentro senza espirare.
A furia di buttare giù aria con tutti quegli inspiri giorno dopo giorno alla fine il suo aspetto magro e distinto aveva perso un po’ di lucido, stava diventando anche paonazzo.
Insomma, credo che l’esame su Bologna non sia andato molto bene.
Credo che stare qua a Bologna per tanto tempo lo avesse involgarito anche un po’.
Sto per tornare a casa stanca e un po’amareggiata, ma dopo qualche secondo me lo ritrovo ancora davanti appena atterrato, già disceso dalla sua navetta e in un italiano perfetto, aulico senza cadenza:
“Ho accettato questo incarico perché ho mangiato tutta la vita come un cane a Londra per non parlare poi di quello che non si mangia sulla Luna, ho attraversato tutto il firmamento per farmi finalmente una bella mangiata a Bologna e non ho trovato un solo etto di mortadella da nessuna parte”
Poi cambiando decisamente tono e un po’ sull’arrabbiato scosso:
“Ma che cavolo sono i “tortellini primavera”, con quell’alone di fritto di mastice cinese attorno?
E le cotolette alla “feng shui?”
Quanti giri devo fare attorno al tavolo per capire da dove devo incominciare a mangiarle?
Dove diavolo sarà mai il nord di una cotoletta?”
Poi si è ricomposto e con un aria greve:
“Cosa ci fanno i supermercati nelle chiese?
E i fast food nei musei, nelle librerie?
E quelle distese enormi di pop corns al cinema?
Ma quanto mangiate e perché?
Ma che c….”
Si stava innervosendo e stava cambiando decisamente aspetto.
L’ho interrotto con un cenno come a dire: ‘forse sta esagerando’ ma cortesemente gli ho detto:
“Mi spiace”
Allora lui si è ricomposto, è stato in silenzio per mezz’ora e con un aria solenne, con l’indice della mano destra puntata sulla luna guardandomi fisso negli occhi:
“Le due torri di mattoni non sono più pendenti e inclinate di traverso e non inchinandosi più l’una all’altra non terminano più in modo veramente straordinario la prospettiva di alcune delle vie più strette.”
Io ho fatto una smorfia come a dire:
”Ma che significa?”
Ma lui ha fatto finta di niente e davanti al portone della sua navetta imponente come il papa ha concluso espirando, dimagrendo di qualche kilo con un vocione che sembrava un trombone:
“Ignorance makes much more victims than war!”
Ma che vorrà dire e che lingua è?